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La frazione si trova alle origini del torrente Diaterna, fra gli speroni di roccia ai piedi di Monte La Fine. Nella piccola piazza, si affaccia una vecchia costruzione di pietra che ingloba un’antica torre, sede del comune medioevale. Della chiesa, intitolata a S. Giorgio, si fa parola in un documento, secondo quanto riferisce C. Celso Calzolai, del 25 luglio 1385, allorché il vescovo di Firenze Angelo Acciaioli, data "la tenuità delle rendite e dei proventi in considerazione della scarsità dei sacerdoti e la sterilità dei luoghi", decise di unirla alla pieve di Bordignano. La rettoria di Castelvecchio, continua il succitato archivista, è l’antica parrocchia del Castello dei Malavolti, nobili bolognesi in conflitto costante con i fiorentini. Un tempo v’era, nei pressi, l’Ospedale di S. Maria a Branchi, ricovero per i pellegrini e viandanti che avevan da transitare lungo le impervie e pericolose vie dell’Appennino. Dai censimenti degli anni 1551, 1745 e 1833 si rileva che la frazione ebbe, rispettivamente, 78, 100 e 123 abitanti. Nei pressi di Castelvecchio esiste un toponimo piuttosto significativo: La Fossa di Catilina. Un’antica tradizione vorrebbe ricordare che da queste parti sia venuto a morire Lucio Sergio Catilina, l’oppositore della oligarchia senatoria ed il cospiratore denunciato in Senato da Cicerone. Un tempo, assieme a Visignano poco distante, questo era il paese dei testai che fabbricavano artigianalmente i testi per la piada con l’argilla rossa ferruginosa del posto, e li portavano fino in città e oltre. "E test" era un largo piatto di terracotta molto usato in Romagna per cuocere "la piè". Ai bordi aveva quattro occhielli nei quali si facevano passare dei fili di ferro o quattro arpioni, attaccati alla catena del camino: sotto si faceva fuoco a legna e sopra si cuoceva la schiacciata di farina, acqua e sale: "la piè ‘nte test", il pane azzimo degli ebrei cantato anche dal Pascoli. L’argilla cruda veniva impastata a mano con un lavoro lungo e paziente, modellata su uno sgabello girevole secondo l’esperienza tramandata in famiglia, essiccata all’ombra e messa a cuocere in piccole fornaci a legna e carbone. I testi erano di varie misure con un diametro variabile da quaranta a ottanta centimetri e venivano preparati d’estate per smerciarli in autunno. Per la vendita, i costruttori li affidavano di solito a qualcuno della famiglia, robusto e buon camminatore. Di solito scendevano a piedi dai monti, singoli o a coppie, sempre di lunedì per tornare a casa il sabato dopo un giro programmato. Portavano i testi sulla schiena con uno "scranello" a zaino, disposti a pila dai più grandi ai più piccoli e imballati con paglia o felci, arrancando piegati sotto il loro peso, forse di cinquanta chili a pieno carico e bilanciandosi con un bastone. I testai vendevano in città e nella bassa, ma raramente in montagna, perché qui al posto del testo si usava una lastra di arenaria, facile da reperire e non costava nulla; poteva però scoppiare sul fuoco se la scelta non era giusta. A Castelvecchio, negli ultimi anni, è stata costruita una "finestra" di sicurezza della ferrovia "Treno ad Alta Velocità".
Immagini di Castelvecchio
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